Onorevoli Colleghi! - Nel 1992 l'allora Segretario generale delle Nazioni Unite Boutros Ghali, nel documento denominato «Un'agenda per la Pace» osservava che, dopo il crollo del muro di Berlino, siamo entrati in un'epoca caratterizzata da «tendenze contraddittorie».
      Da un lato, si assiste a livello planetario a un continuo progresso civile in molteplici campi, quali la democratizzazione, la collaborazione sovranazionale, il rispetto dei diritti umani, il progresso economico e sociale; dall'altro, si susseguono brutali conflitti etnici, religiosi, sociali, culturali.
      «Dall'inizio del 1990 alla fine del 1999 ci sono stati 118 conflitti armati a livello mondiale che hanno coinvolto 80 Stati e che hanno causato la morte di circa 6 milioni di persone» (Smith D., «Trends and causes of armed conflicts», in AA.VV., The Berghof Handbook for Conflict Transformation, Berghof Research Center for Constructive Conflict Management).
      E di fronte alla brutalità della guerra Boutros Ghali concludeva che «il più auspicabile ed efficace impegno della diplomazia è quello volto ad attenuare le tensioni prima che sfocino in un conflitto o, se scoppia il conflitto, l'agire rapidamente per contenerlo e per risolvere le cause che ne sono alla base» (Rapporto del Segretario Generale, «Un'agenda per la Pace», A/47/277 - S/24111 del 1992).
      Il ruolo fondamentale della prevenzione è stato ribadito anche dall'attuale Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, il quale rileva che «la più dispendiosa delle politiche di prevenzione è comunque più economica, in termini di vite e risorse, del meno costoso degli interventi», sottolineando che i conflitti avvenuti negli anni '90 sono costati alla comunità internazionale 230 miliardi di dollari e migliaia di vite umane (Kofi Annan, «Elogio della Prevenzione», The Economist traduzione in Internazionale n. 316-7 del 13 gennaio 2000).

 

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      Una politica di prevenzione richiede però «una conoscenza tempestiva e accurata dei fatti» e, dunque, è essenziale la costituzione di «un sistema di preallarme fondato sulla raccolta di informazioni e su richieste informali o formali» (Boutros Ghali, Rapporto citato).
      Anche quando le crisi sfociano in conflitti aperti esistono mezzi e strumenti di carattere giuridico, politico, economico e di intervento civile e militare che possono condurre a una soluzione pacifica del conflitto.
      L'individuazione e il dispiegamento di tali risorse richiedono tuttavia del tempo, che è proprio il fattore che manca in tali situazioni. Più, infatti, gli interventi sono tardivi e meno sono efficaci.
      Di qui l'importanza di avere a disposizione, in tali circostanze, analisi sulle aree di conflitto e proposte di intervento che, tenuto conto dei possibili scenari, permettano di bloccare l'escalation del conflitto e di risolverlo.
      Il «cessate il fuoco» non produce automaticamente situazioni di pace. Sono necessarie molteplici misure volte a ristabilire la fiducia e il dialogo e a permettere la ricostruzione del tessuto economico e sociale per evitare la riproposizione delle dispute (prevenzione post-conflitto).
      Prescindendo dalla forma più eclatante di violenza, ossia il conflitto armato, va riconosciuto che esistono forme di violenza strutturale che violano i diritti fondamentali delle persone e minacciano la sicurezza delle comunità umane. Una minaccia altrettanto pericolosa può provenire da forme di violenza diretta messe in atto da organizzazioni e gruppi terroristici o criminali.
      Risulta pertanto necessario lo studio delle «precondizioni per la pace», vale a dire di tutti quei processi e quelle politiche che favoriscono l'instaurazione di sistemi e modelli politici, sociali ed economici più giusti e pacifici e che possono prevenire lo scoppio di azioni di violenza diretta.
      Diversi Governi, sia nazionali sia locali, hanno già da alcuni decenni creato Istituti di ricerca per la pace, finanziati, pubblicamente, per indagare in modo scientifico e con continuità sulle complesse problematiche in precedenza menzionate.
      L'attività di tali Istituti ha consentito di ampliare notevolmente, sotto vari aspetti, la conoscenza dei meccanismi e dei fattori che permettono la costruzione di ordini di pace.
      Dan Smith, direttore dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo (PRIO), uno dei più autorevoli Istituti fondato nel 1959, esprimendo le proprie valutazioni sull'attività svolta da tali Istituti afferma: «Credo che ora si abbia una migliore comprensione di come i conflitti evolvono, di come le loro diverse cause interagiscono l'una con l'altra, dei rapporti tra ingiustizia e conflitto violento [...] delle dinamiche della corsa agli armamenti e del funzionamento del complesso industriale militare. Ritengo che le ricerche per la pace abbiano reso anche notevoli contributi alla comprensione degli accordi che seguono ad un conflitto» (AA.VV., Gli Istituti e i Centri internazionali di ricerca per la pace, Movimento internazionale di riconciliazione - Beati i costruttori di pace, Padova, 1999).
      È dunque giunto il momento che anche l'Italia colmi il ritardo che in questo campo sconta rispetto a molti Paesi europei. La costituzione di un Istituto internazionale di ricerca per la pace consentirà di fornire, attraverso i risultati dell'attività di ricerca, importanti contributi per:

          la politica estera del nostro Paese;

          la definizione di una Politica estera di sicurezza comune (PESC) nell'ambito dell'Unione europea e in generale per il continente europeo;

          l'individuazione di risposte ai pressanti e drammatici problemi che la comunità internazionale deve affrontare.

      Con la creazione di un Istituto internazionale di ricerca per la pace l'Italia, inoltre, ottempera agli impegni di promozione della pace assunti in diverse sedi internazionali e in particolare in sede ONU.

 

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      Infatti, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, constatando la proliferazione di violenza e conflitti in varie parti del mondo, con la risoluzione 52/15 del 20 novembre 1997 ha proclamato l'anno 2000 come «Anno internazionale per la cultura di pace» e con la risoluzione 53/25 del 10 novembre 1998, il periodo 2001-2010 come la «Decade internazionale per una cultura di pace e non violenza per i bambini del mondo».
      Più recentemente, con la risoluzione 53/243 del 13 settembre 1999, ha adottato una Dichiarazione e un Programma di azione sulla cultura di pace.
      Inoltre l'ONU, al fine di creare un movimento internazionale di opinione per la pace e la non violenza, ha divulgato per il tramite dell'UNESCO il «Manifesto 2000 per una cultura della pace e della nonviolenza», sottoscritto da oltre 65 milioni di persone.
      Attraverso l'attività di tale Istituto potrà trovare, inoltre, concreta attuazione anche il dettato costituzionale, laddove sancisce il ripudio della guerra come mezzo per la risoluzione dei conflitti (articolo 11).
      Pur godendo di stabili finanziamenti pubblici, l'Istituto è creato con forma giuridica e struttura organizzativa tali da garantire la sua piena autonomia intellettuale e operativa, premessa indispensabile per una seria attività scientifica.
      Le sue finalità prevalenti, ma non esaustive, sono di due tipi:

          una ricerca di base sulle problematiche della guerra e della pace nonché di quelle relative ai conflitti interpersonali e fra gruppi umani;

          una ricerca finalizzata all'individuazione precoce e alla risoluzione non violenta dei conflitti.

      L'Istituto inoltre si caratterizza per:

          un permanente collegamento internazionale. Tale principio si traduce in una composizione multinazionale del suo comitato scientifico, degli altri organi operativi e dello staff dei ricercatori e in un'ampia e fattiva collaborazione con analoghi Istituti esteri;

          un impegno volto alla pubblicizzazione dei risultati dell'attività di ricerca e di studio, alla divulgazione della cultura di pace e di risoluzione non violenta dei conflitti, alla formazione di giovani ricercatori e del personale civile e militare impegnato in missioni di pace promosse dalle Nazioni Unite, alle quali il nostro Paese con sempre maggiore frequenza è chiamato a partecipare;

          una convinta apertura alla società civile per sviluppare, con le sue diverse componenti, progetti comuni di ricerca ed educativi.

      La città di Perugia, con una lunga tradizione di attenzione alla cultura di pace, grazie anche all'opera di figure storiche importantissime quali San Francesco e, in tempi più recenti, Aldo Capitini, e che ospita la tradizionale marcia per la pace, appare il luogo più adatto a divenire sede dell'Istituto.

 

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